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MARE MOSSO, RINUNCIE e PESCIONI - estate 2002

   Ferragosto è alle spalle e con lui l'acme della bolgia di vacanzieri, pescatori e marinai improvvisati, incivili del mare e rompicoglioni in genere… C'è ancora gente, ma si respira un'aria più rilassata e soprattutto, nei posti 'giusti' si torna ad essere quasi soli.
   Dopo l'exploit del blitz in scooter (vedi diario precedente) questa volta mi organizzo per qualcosa di più 'tranquillo' (sempre relativamente a quello cui sono abituato…). Parto il mercoledì 21 con macchina e gommone al seguito alla volta di Bastia, destinazione finale Porto Vecchio dove due cari amici (per la cronaca tra loro cugini) mi aspettano: il solito e ormai mitico Patella e il buon 'vecchio' Paolo Saccavini, ex-compagno di nazionale e bi-campione del mondo d'apnea.

   Loro stanno sul posto già da parecchi giorni e, in vista del mio arrivo, hanno ottenuto dalle rispettive dolci metà un paio di giorni di licenza assoluta, ben sapendo che li avrei coinvolti in una full immersion venatoria.
   Arrivo la sera e, dopo una rapida cena, il classico briefing per stilare il piano di battaglia. I due mi lasciano carta bianca sul programma ed io, visto che Massimo offre la sua piena disponibilità a farci da barcaiolo, decido di sfruttare a pieno le doti di profondista di Paolo. Anni addietro ha fatto pescate da sogno in queste acuqe ma i posti migliori che conoscevo sono ormai racchiusi nei confini del parco di Porto Vecchio, quindi concentro la mia attenzione su sommi e seccotte sparse nel tratto di mare compreso tra l'isolotto del Toro e quello del Perduto, dove inizia l'altra più estesa riserva di Lavezzi. Le profondità minime sono quasi tutte superiori ai 30 metri e questo, se da un lato comporta un notevole impegno fisico, dall'altro ci garantisce di trovare zone molto poco battute. Con l'ausilio della carta e di un valido software di navigazione estrapoliamo le coordinate dei vari punti e le inseriamo nel GPS per non dover perdere tempo la mattina successiva.
   Purtroppo quando, alle quattro e mezzo, la sveglia ci butta giù dal letto, il vento soffia da Ponente con una certa insistenza e, anche se dal nostro lato il mare è calmo, non è difficile immaginare cosa troveremo navigando verso Sud una volta che il ridosso della Corsica ci avrà abbandonato!
   Ma, come già sperimentato in passato in occasioni simili, le mie capacità di persuasione sono diabolicamente efficaci e alle sei stiamo già cavalcando le prime timide crestoline. Bastano poche miglia per realizzare che dovremo pescare con onde di quasi due metri e vento ad oltre venti nodi, anche se almeno ci sarà un bellissimo sole.
   Il primo brivido arriva da un controllo da parte dei severi guardaparco che ci abbordano prima ancora del nostro arrivo per accertarsi che abbiamo ben chiari i confini della riserva. Quando mostro loro la carta con i punti da esplorare ed il perimetro del parco marcati con l'evidenziatore si convincono di non avere a che fare con degli sprovveduti e si mostrano ben più cortesi e rilassati, pur sottolineando che continueranno a tenerci d'occhio.
   Nettuno sembra ignorare che oggi è il mio compleanno e mi nega un meritato regalo: sei ore di tuffi tra i trenta ed i quaranta metri portano a pagliolo un solo dentice di due chili e mezzo e qualche raro avvistamento incluso un branco di ricciole di media taglia assolutamente inavvicinabili. Il termoclino sui venticinque-ventotto metri sembra vanificare qualsiasi nostro sforzo ed al ritorno siamo decisamente provati oltre che insoddisfatti.
   Torniamo per il pranzo, ci riposiamo e, per poter dire di averle provate tutte, ci concediamo anche il calasole su qualche secca in fondali più modesti compresi nella colonna d'acqua temperata, ma il risultato non cambia.
   Durante la cena ci troviamo concordi nel ritenere ogni ulteriore tentativo nel versante orientale una mera perdita di tempo ed iniziamo a scorrere le cartine dell'altro lato dell'isola, concentrando la nostra attenzione sulle numerose secche comprese tra Propriano e Bonifacio.
   Paolo e la moglie hanno deciso di rientrare in Italia con un paio di giorni d'anticipo quindi l'uscita del mattino successivo mi vedrà con il solo Massimo.
   Quando ci svegliamo il tempo è a dir poco pessimo: vento ancora da Ponente ed una leggera pioggia spengono qualsiasi sprazzo di ottimismo.
   Ma ci vuole ben altro per scoraggiare il Matto ed il Patella e così prendiamo la strada per un minuscolo porticciolo della cui esistenza siamo certi ma che nessuno di noi due ha mai visitato in precedenza. Fatichiamo un po' per trovare la strada giusta, ma una volta arrivati il posto si rivela strategicamente impeccabile: l'insenatura, sulla foce di un fiumiciattolo, è profonda e ben riparata, lo scivolo è comodo, dotato di moletto di ormeggio ed ampio parcheggio; speriamo soltanto che nessuno tocchi la macchina…
   Mentre variamo il mezzo il tempo subisce un'improvviso e notevole peggioramento con l'arrivo di una vera e propria burrasca. Vento forte, grandi scrosci d'acqua e lampi a non finire, sembra l'apocalisse! Ci chiudiamo in auto per una mezz'oretta per capire come evolve, poi quando tutto sembra un po' calmato decidiamo di tentare la sortita. A dir la verità i pochi locali ci guardano come dei suonati e, probabilmente, scommettono sul nostro possibile non ritorno, ma ormai ci siamo e dobbiamo almeno fare un tentativo.
   Usciti dal golfo facciamo conoscenza con il mare che ci terrà compagnia per l'intera pescata: almeno forza quattro, con vento teso che alza evidenti creste bianche e schizzi a non finire. Per me che sarò in acqua nessun problema, guardo ancora Massimo e gli chiedo se si sente pronto a sciropparsi sette, otto ore di questa tortura ma lui, stoicamente, mi fa cenno di proseguire: 'Però mi devi prendere i pescioni' mi dice, scaricando così su di me la responsabilità morale di un possibile fallimento. Io, un po' in base all'esperienza e un po' per scaramanzia gli rispondo che 'è giornata da ricciole'… in effetti con queste condizioni di mare sulle secche profonde i grandi pelagici sono in genere presenti ed attivi, mentre i dentici tendono a sparire e sono comunque piuttosto inavvicinabili.
   Il tragitto dura più di tre quarti d'ora ed è decisamente disagevole, ma ne approfittiamo per concordare al meglio la strategia per gestire la pescata. In realtà non c'è molto da discutere, perché in questi frangenti esiste un solo modo di agire: il barcaiolo, a motore sempre acceso, attende la risalita del pescatore e si avvicina per vedere se c'è bisogno di qualcosa, per portarsi poi sopravvento prima del tuffo successivo e così via... più facile a dirsi che a farsi: con simili condizioni meteo, in mezzo al mare e senza punti fissi di riferimento non sono molte le persone dalle quali mi farei assistere, e Massimo è sicuramente una di queste.
   Perdere di vista il pescatore, in situazioni del genere, è di una facilità sconcertante e prima di mettersi nelle mani di qualcuno in superficie bisogna essere sicuri delle sue capacità di condurre il mezzo, leggere gli strumenti (echo e GPS) ed intuire al volo le nostre necessità. E' importante ad ogni tuffo azzerare il GPS sul punto in cui è iniziata l'immersione, perché sarà questa l'unica indicazione utile per ritrovarci nel caso il contatto visivo venisse a mancare.
   Arrivati in prossimità del primo segnale inizio la ricerca con lo scandaglio. Siamo al di sopra di una grande piattaforma rocciosa sui ventotto-trenta metri che, lungo i margini, forma un ciglio franato non molto elevato, al massimo quattro o cinque metri, presso il quale si concentrano quasi tutti i pesci. Al di sopra del fondale lo schermo marca molta mangianza ben stratificata, segno della presenza dei predatori.
   Entro in acqua e carico il mio fido Stealth 110, rifacendo con cura maniacale la sagola in passate moderatamente tensionate ed inizio a studiare la situazione.
   Nonostante il mare mosso la visibilità è buona e, anche grazie al sole che comincia a fare capolino tra le nuvole, riesco ad intravedere alcune macchie di roccia chiara con le quali orientarmi. Faccio un tuffo a qualche metro di profondità per individuare il punto esatto sul quale effettuare la prima discesa; con la corrente debole non è difficile mantenere il punto ed eseguire una lenta e scrupolosa preparazione. Esordire con un aspetto a trenta metri, specialmente con queste condizioni di mare, non è mai uno scherzo e bisogna dare fondo a tutte le nostre capacità di concentrazione ed autocontrollo.
   Una volta eseguita la capovolta, il sibilo del vento nel boccaglio, gli spruzzi e lo sballottamento delle onde spariscono come d'incanto e l'unico pensiero è rivolto a ciò che mi aspetta nel blu. Quello che vedrò in questo tuffo ricorderà molto da vicino una visita all'Acquario di Genova: ancora a mezz'acqua individuo subito due cernioni che in candela spiano la mia caduta ma, dopo un mese che pesco esclusivamente in Corsica, sono abituato ad ignorarli. Mentre attraverso un branco di grosse palamite, vedo più in basso una nuvola di corpulente corvine e saraghi enormi che entra ed esce da una spaccatura incurante della mia presenza. Più lontano, sull'altopiano, ecco loro, i dentici: solo sei o sette ma belli grossi. Tutto è perfetto, la corrente, l'appostamento, il sole, ma i pesci non ne vogliono sapere di avvicinarsi e non mi resta che godere lo spettacolo di un secondo branco di corvine e delle numerose cernie che spuntano da ogni dove fino al limite della visibilità.
   Risalgo e medito sul da farsi. Mi consulto con Massimo, poi decido di provare un altro aspetto e, nel caso gli sparidi continuassero ad ignorarmi, eventualmente sparare ad una grossa corvina.
   Eseguo il secondo tuffo un poco più in là per essere comunque vicino alla spacca e, quando capisco che i dentici non sono proprio in vena, mi rivolgo ai corvi che veleggiano tranquilli, puntandone uno di più di due chili. Prima di premere il grilletto per un pesce 'secondario' sono abituato a dare un'ultima occhiata intorno e così scorgo la sagoma di una grossa ricciola che mi punta decisa, farà almeno venticinque chili. Ah-aah, mi pareva strano…
   L'avvicinamento è rapidissimo ed il pesce gira verso sinistra ad un paio di metri dalla punta dell'arma. Abituato ad anni di arbalete, per non mettere a repentaglio l'asta decido di non effettuare il tiro in testa ma di mirare dietro nel punto più spesso. L'asta attraversa il pesce di tre quarti lasciandolo in sagola. Dopo il primo attimo di disorientamento, la ricciola inizia a svolgere il mulinello mentre io risalgo. Lei tira ed io l'assecondo, facendo attenzione a mantenere sempre la giusta trazione sullo spectra che comando a mano. Purtroppo il pesce mostra una vitalità superiore al previsto e dopo un quarto d'ora non sono riuscito neanche a riportarlo a vista… mi pento di non averlo sparato nell'occhio e salpato di potenza, ma ormai ho preso questa linea e devo continuare a gestirlo 'con le buone'.
   Intanto Massimo ha già preparato il 106 per il colpo di grazia, ma il problema adesso è riportare la preda a quote ragionevoli: ogni volta che guadagno lentamente qualche metro, il pesce produce uno scatto brutale e se li riprende in un attimo. Comincio ad innervosirmi e, soprattutto, penso che sto perdendo troppo tempo che invece dovrei usare per visitare altre secche, così chiedo a Massimo di prendere la sagola e salpare il pesce mentre io gli vado incontro per finirlo. Questo si rivelerà un grave errore perché dall'esterno non è possibile capire in che direzione il pesce stia tirando e quindi assecondarlo quanto basta. Inoltre il moto ondoso provoca continui e violenti strattoni sul filo e, quando la ricciola si dirige controvento, lo sforzo supera la capacità di tenuta delle carni già messe a dura prova dalla lunga battaglia. Che rabbia: quando sono a meno di una decina di metri di distanza e proprio mentre lo sto avvicinando per finirlo, il pesce si libera dall'asta e lentamente guadagna il fondale. Non riesco a raggiungerlo per un pelo e devo risalire con la morte nel cuore. Inutile cercarlo, siamo a quasi cinquanta metri ed il pesce potrebbe essere dovunque.
   Salgo a bordo per rifare il mulinello e decidere il da farsi, tentando di consolare il povero Patella che, a differenza di me, non riesce a darsene una ragione: per lui, che di ricciole non ne prende mai, si tratta di una perdita incolmabile mentre per me è ormai un capitolo chiuso e adesso non vedo l'ora di essere in acqua alla ricerca di una nuova occasione.
   Decido di scendere ancora sullo stesso punto prima di cambiare definitivamente zona. Vedo ancora i dentici, sempre più nervosi e distanti, poi punto nuovamente una corpulenta corvina che, ingenuamente, continua a rimanere lì davanti. All'improvviso se ne scappa in tana con uno scatto che mi fa sospettare un qualche intervento esterno: mi volto e sulla destra ecco un'altra ricciola, più grande della precedente e in chiaro avvicinamento.

Questa volta non posso permettermi di sbagliare, la miro nell'occhio e premo il grilletto, poi risalgo tirandomi dietro il pesce per qualche metro prima di mollare il mulinello. Il monofilo è stato sostituito ieri, le alette sono robustissime, lo Spectra da un millimetro e mezzo non può certo strapparsi e l'asta da 7 mm senza tacche consente trazioni elevate senza rischi. Mentre il gommone si avvicina il pesce è già nelle mie mani e riceve la coltellata nel cervello che pone fine alla breve agonia.

   Adesso Massimo sorride ed io mi sento più rilassato…le nuvole sono sparite ed il sole rende il mare mosso ed il vento più sopportabili mentre la bella cattura ci restituisce entusiasmo ed energie.
   Ci spostiamo sulla seconda mira, un fondale simile al primo, ed anche qua lo scandaglio marca vita: speriamo che siano dentici! E invece, una volta sul fondo, tra le immancabili corvine e sotto lo sguardo curioso delle onnipresenti cernie, ecco la terza ricciola, sarà una quindicina di chili. La taglia ridotta ed il tiro, ancora una volta micidiale, rendono il recupero un gioco da ragazzi ed in pochi minuti sono già pronto per la discesa successiva.
   Decido di impugnare l'arba da 100 per sparare a qualche corvo e, raggiunto il fondo in trentadue metri, mi dirigo verso un grosso masso dal quale fuoriescono i pesci a decine.
   Ne scelgo uno che si sta lentamente muovendo verso la tana quando vedo delle ombre bluastre puntarmi dal mare aperto: sono loro, i miei amati dentici, e questa volta sembrano interessati al sottoscritto. Non sono pesci grandi, ma un dentice è sempre un dentice, specialmente se preso in un ambiente così affascinante, quindi sfodero tutta la mia abilità per farli entrare nel raggio d'azione dell'arpione. Devo ricordarmi che non ho più in mano il cannone da 44 atmosfere e per sparare dovrò vedere il tartaro sui denti, ma i pesci decidono di darmi una grossa mano mostrando eccessiva confidenza ed il gioco è fatto!
   Dopo aver provato a fare il bis sullo stesso branco senza successo, inizio a catturare le corvine, sparando prima a due pesci che si attardano in acqua libera. Poi, uno alla volta sotto al lastrone, infilzo altri due corvi, una grossa mustella ed un sarago da chilo. Per ben due volte risalgo senza sparare per evitare di colpire, oltre al pesce mirato, anche una grossa cernia che faceva da sfondo nella tana.
   Sulla terza secca di nuovo i dentici, tre di notevole dimensione, ma anche questi non mi concedono alcuna chance, quindi ripiego sul pesce bianco catturando altri due corvi ed un saragone.
   Le ultime due secche visitate, molto meno profonde e sicuramente più battute, non riservano sorprese di rilievo e noi prendiamo la via del rientro paghi del bel carniere.

   Ci vuole la foto ricordo ma qua in mezzo ai marosi non è proprio il caso; una volta nel golfo, a ridosso dal vento e dal mare, mi sistemo a prua e Massimo mi immortala per la gioia del mio archivio. Le due ricciole, legate per la bocca tra di loro, vengono momenQAtaneamente appuntate alla bitta di poppa mentre sistemiamo accuratamente nella ghiacciaia il pesce bianco perché possa conservarsi nei due giorni che mi separano dal rientro in Italia.

   Poi, dopo aver lavato il gommone dal sangue e dalle squame, il Patella accende il motore e dà gas verso il porto. Giusto un centinaio di metri ed un lampo di terrore mi fa sudare freddo: le ricciole!!! Erano qui, no erano lì, azz.. le abbiamo perse! Non c'è tempo di perdere: giro la prora e seguo la scia ancora visibile sul mare calmo tornando al punto in cui ci siamo fermati, poi azzero il GPS e mi vesto in tutta fretta. Qui l'acqua è verde, la visibilità è di cinque o sei metri appena ed il fondale di quasi venti, tutto posidonia. Inizio a tuffare ad una trentina di metri dal punto zero seguendo la rotta per il porto e tenendomi un po' sulla sinistra per compensare lo scarroccio della corrente. Faccio tuffi brevi e frequenti, perché so che ogni minuto che passa riduce sensibilmente le possibilità di ritrovamento. Alla terza discesa vedo specchiare tra le foglie, allungo la mano ed afferro la ricciola più piccola: lo spezzone di cima è legato alla bocca ma dal capo opposto c'è soltanto una gassa libera.
   Proviamo a ragionare: l'altro pesce deve essersi strappato mentre questo era ancora fissato al gommone, quindi devo cercare più indietro se voglio avere qualche speranza. Un solo tuffo basta per rintracciarlo, giusto sull'orlo di una scarpata che precipita fino a trenta metri… La dea bendata per oggi è stata anche troppo generosa con noi, meglio rientrare e godersi il meritato riposo, amche in vista della trasferta di domattina quando, con auto e gommne al seguito, dovrò raggiungere Calvi per l'ora di pranzo.

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