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TERMOCLINO E MOBILITA’ DEL PESCATORE - inizio estate 2002

  E' stato un parto lungo e travagliato quello che ha generato la breve vacanza di tre pazzi scatenati come il sottoscritto ed i due romani Paolo e Antonio, alias Terminator. Prima in due, poi in tre, poi nuovamente in due ed alla fine adesione totale: Antonio lo avevo già conosciuto ed ero ansioso di incontrare personalmente Paolo, dagli altri decantato, oltre che per le doti di pescatore, per la sua simpatia e bontà d'animo.
  Generalmente pesco da solo, ma quando mi sposto in compagnia ne approfitto per esplorare zone nuove e così la scelta cade sul golfo di Porto. Dopo aver acquistato la carta nautica aggiornata (primo passo obbligato), dedico l'intera serata allo studio delle batimetriche alla luce delle informazioni che, telefonicamente, sono riuscito a ricavare dalla mie conoscenze tra le persone che qua hanno già pescato. Gli altri due mi lasciano carta bianca nella pianificazione, ma credo che in seguito abbiano rimpianto questa loro decisione, visto che li ho costretti ad un tour de force a dir poco massacrante. Comunque il dado è tratto e il giovedì mattina stiamo già sul traghetto per Bastia con macchina ed il mio gommone al seguito attrezzato di tutto punto.
  Prima di raggiungere Porto, abbiamo deciso di fermarci a Propriano per pescare in alcune secche al largo approfittando dei due giorni di alta pressione previsti. Il viaggio da Bastia non è breve ed a Porto Vecchio facciamo una pausa per pranzare ed acquistare i permessi di pesca. Questo ci permetterà di evitare problemi con la sorveglianza, che verso Bonifacio, forse per via dei numerosi parchi, è sempre presente e molto severa.
  Arriviamo a Propriano nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per cercare un albergo ed uscire per il calasole; la voglia di stare a mollo è alle stelle, ma il tempo a disposizione non ci permette grandi cose e ci dobbiamo accontentare di un tratto di costa, peraltro bellissimo, a Sud del porto. Purtroppo, nonostante i fondali spettacolari, le prede scarseggiano e né io né Antonio avvistiamo pesci di rilievo. Paolo ha una sola ma ghiotta occasione con una bella ricciola che, ahimè, si strappa anzitempo lasciando il poveretto con le lacrime agli occhi… Analizzando quanto rilevato, possiamo verosimilmente concludere che il taglio gelido attorno ai 15-16 metri abbia determinato la quasi totale assenza di pinnuti; del resto in questa stagione si tratta di un evento molto probabile e l'unica soluzione è quella di spostarsi alla ricerca di acque più temperate.
  Le speranze sono tutte rivolte all'indomani; partenza prima dell'alba con mare d'olio e 70 litri di carburante alla volta delle numerose secche che popolano la costa fino a Bonifacio. Alcuni di questi segnali li conosco da anni per averli visitati dalla Sardegna o da Porto Vecchio, mentre altri li abbiamo ricavati dalla cartina e saranno anche per me un'emozionante scoperta.
  Lasciato lungocosta Paolo, che ha dei problemi di compensazione, io e Antonio ci spostiamo su di una prima secca, molto conosciuta, a qualche miglio da terra: la prima, piacevole sorpresa è che qui il tremoclino è abbondantemente sotto i venti metri e nemmeno tanto marcato. Vediamo subito qualche denticiotto, anche se un po' spaventato, poi qualche branco di saraghi e corvine (prima padella per me…) ma è evidente che la zona è parecchio battuta, vista la facilità nell'individuarla e la profondità non eccessiva. Convinco Antonio a lasciar perdere e ci sciroppiamo un altro bel po' di miglia per arrivare su alcune zone che già conosco per averci realizzato, negli anni precedenti, carnieri non indifferenti. Si pesca veramente fondo, sempre da trenta metri in poi, ma la limpidezza dell'acqua ci permette di intravedere il fondale consentendo tuffi sempre mirati: il taglio non c'è proprio e la situazione sembra ideale per i grossi dentici che qua sono di casa.
  Invece, dopo aver visitato tre cappelli, di sua maestà neanche l'ombra e per prendere un pesciotto di poco superiore al chilo mi servono ben due ore di tentativi ed un interminabile aspetto a -37…l'onore è salvo, adesso meglio lasciar perdere e dedicarsi alle corvine che invece sono dappertutto, con esemplari di media e grossa taglia: è uno spettacolo vederle veleggiare con quel movimento sinuoso e sensuale tipico di questa specie. Ma siamo qua per cacciare e la fase contemplativa deve avere breve durata, quindi bando alle ciance: ci facciamo un paio di tane, pizzicando i pesci che scuriosano fuori dalle spacche. Antonio apre le danze con un bellissimo pesce di oltre due chili che abitava un lastrone a -32, poi a ruota le altre catture. Dopo poco ce ne andiamo per non cedere alla tentazione di sparare ad uno delle decine di cernioni che in candela assistono curiosi alle nostre discese: è impressionante il numero dei serranidi e la confidenza che dimostrano, segno inquivocabile che qua i bastardi bracconieri con le bombole hanno vita dura; del resto, in precedenti occasioni, sono stato fermato dal guardiaparco che mi ha perquisito il gommone alla ricerca (vana) dell'autorespiratore.
  E' ora di rientrare, Paolo ci avrà dato per dispersi… Lo recuperiamo, ci mostra il carniere con qualche pesce di media taglia informandoci che sottocosta il taglio è ancora presente e fastidioso, poi torniamo al porto, ma non prima di aver visitato una risalita che lo scandaglio aveva casualmente marcato questa mattina durante il primo spostamento. Decine di miglia percorse quasi invano ed i pesci stavano qua, a pochi minuti dal punto di partenza, e che pesci!!! Purtroppo la tarda ora (quasi le due), il sole alto ed il traffico delle barche ha sicuramente reso difficile una cattura che all'alba sarebbe stata banale. Provo alcuni aspetti e, a conferma che la giornata è nata male, quando un pescione si concede finalmente al mio arpione lo sparo malamente strappandolo sulla schiena. GRRRR, meglio andare via e sbollire la rabbia in macchina!
  Su il gommone, un panino e via verso la nostra meta finale (o almeno così credevamo…). La strada tra Propriano e Porto non l'avevo mai percorsa ed è quanto di più spettacolare abbia mai visto in Corsica. Il panorama di cui abbiamo goduto vale alla grande le infinite curve e gli sballottamenti che ci siamo dovuti sorbire e quando arriviamo siamo più galvanizzati di ieri.
  Contattiamo subito Antonio Scialpi, pescatore veronese che è qua da cinque giorni assieme ai suoi simpatici amici. Ci aggiornano sulla situazione: taglio gelido in 12-13 metri, qualche dentice c'è ma non sempre è facile pescare perché qua il fondale degrada in maniera brusca verso quote da capogiro. Scarichiamo i bagagli, prendiamo il posto barca poi ci scaraventiamo in mare pieni di aspettative. Intanto si sta levando un vento di libeccio che fa increspare il mare, fino a poco fa perfettamente calmo. Arriviamo sulla punta scelta poco prima del tramonto, l'ora è quella giusta per il dentice e ci dividiamo velocemente la zona. Giusto il tempo di allontanarsi dal gommone ed il vento si rinforza in maniera impressionante, costringendoci ad una fuga disonorevole ma quanto mai tempestiva, almeno a giudicare delle onde di oltre tre metri che ci inseguono sulla via del ritorno! Una vera e propria burrasca notevole entità.

  Il clan dei veronesi ci lascerà l'appartamento soltanto il giorno successivo e per questa sera dobbiamo arrangiarci. Paolo dormirà da loro, mentre io ed Antonio abbiamo deciso di campeggiare con la tenda nella radura davanti al porticciolo.
  Organizzo in tutta fretta una cena per tutto il gruppo (con i pesci pescati dagli altri, sigh): corvine bollite, saraghi al forno con patate e carpaccio di cefalo, piatto nel quale mi sublimo e che tutti sembrano aver gradito. I soliti piacevoli discorsi in compagnia, poi tutti a nanna.

  All'indomani il vento è ancora teso, il mare sempre una furia… comincio ad essere scocciato e gli altri percepiscono questo mio malumore; non posso farci niente, io non ho molto tempo libero e odio doverlo sprecare passeggiando sul molo in attesa di qualche cambiamento. Nel pomeriggio il vento si placa e le onde assai meno rabbiose ci permettono di pianificare un paio d'ore al calasole. Ci portiamo all'estremità Nord del golfo, ancoriamo a ridosso e ci buttiamo in acqua in preda ad una seria crisi d'astinenza.
  Niente da fare: il taglio gelido è netto e mai oltre i 12 metri, al di sotto di esso soltanto qualche sparuta corvina che fatica a placare la nostra atavica sete di sangue… Io rimedio un denticiozzo quasi in superficie, poi solo desolazione. La mattina successiva decidiamo di osare di più e dopo aver pescato sulle lamiere di un relitto, doppiato il parco della Scandola proseguiamo alla volta di Galeria. Il tempo, che all'alba non sembrava promettere ninete di buono, si sta sistemando ed il mare tende a schiacciarsi. Facciamo la prima sosta in una zona che già conosco. Qui la musica cambia radicalmente: il taglio si è spostato sui 18-20 metri e subito nella prima zona trovo una splendida tana di corvine, catturandone due da un paio di chili. Ancoriamo silenziosamente sulla seconda secca ed al primo tuffo, in soli 14 metri d'acqua, mi arriva un bel branco di dentici; miro con cura e mentre sto per sparare ad un pesce già morto, un tonfo sordo lo mette in fuga. Guardo in alto e vedo, in mezzo ad un mare di schiuma, la sagoma scomposta di Antonio che, in un momento di coglionite acuta, ha deciso di tuffarsi di schiena tipo Jacques Cousteau. Tralascio l'interminabile elenco di titoli che gli ho affibbiato una volta risalito (ancora oggi non capisco come gli sia venuto in mente di fare una cosa simile salvo l'ipotesi un corto circuito cerebrale). A lui invece va meglio perché, dopo essersi spostato su di un'altra risalita, trova un bel branco di pesci e riesce a far suo il primo vero dentice della vacanza, un po' meno di tre chili. Generalmente non soffro d'invida, ma in quell'occasione ho provato un certa rabbia ripensando alle poche ma buone occasioni sprecate in precedenza.
  Ormai siamo vicini e propongo al gruppo di arrivare a Calvi, dove ho mire sufficienti per un mese intero di pesca. Non li vedo convinti, soprattutto Paolo che mi fa notare un brezza insistente che si è appena rialzata e così giriamo la prua di 180 gradi per tornare a casa.
  Durante il rientro inizio a convincermi che rimanere a Porto significhi sprecare gli ultimi due giorni a disposizione e così tento di convincere gli altri a fare i bagagli in tutta fretta per fare base a Calvi, dove posso contare sull'ospitalità di un caro amico. La prima reazione è di incredulità, di chi pensa che tu stia scherzando… Ci siamo svegliati alle quattro, abbiamo fatto cinquanta miglia di mare, sei ore di pesca e adesso tu vorresti impacchettare tutto, farti due ore di curve, scaricare ancora tutti i bagagli, varare il gommone e rimettersi a pescare??? Ma non mi conoscevano ancora bene e, quando il mio istinto mi dice che quella è la cosa da fare, sono in grado di convincere una montagna a spostarsi.
  Dopo qualche breve momento di tensione siamo già in viaggio; le facce dei miei compagni per la verità sono un po' perplesse, una addirittura stizzita, ma più passa il tempo e più mi sento in grado di poter offrire loro motivi sufficienti per dimenticare la fatica. A Calvi gioco in casa, conosco la zona come le mie tasche e in questo periodo non mi ha mai tradito... ah, se solo avessi deciso fin dall'inizio per questa meta!
  Non c'è un minuto da perdere, sono quasi le sette e stiamo ancora varando il gommone: rapida vestizione e poi via, a manetta verso la zona prescelta a poche miglia di distanza.
  Sulla rotta ci sono una serie di interessantissime secche, tutte a profondità comprese tra i 28 ed i 35 metri, che spesso riservano sorprese indimenticabili. Decido di provarne una; a causa della profondità Paolo si tira indietro offrendoci l'appoggio dal mezzo, mentre Antonio accetta di buon grado di fare il secondo in acqua. Si tratta di una guglia di ridotta estensione che concede uno, al massimo due tentativi ed è logico che spettino a chi conosce già il fondale ed è abituato a questo tipo di discese. Lavoriamo con lo scandaglio e con le mire a terra finchè non ritengo di e trovarmi sul punto ideale per tuffare… purtroppo, appena inizio ad intravedere la secca, erroneamente prendo un punto di riferimento scambiandolo per un altro simile ma dalla parte opposta della guglia, così correggo una caduta che era invece millimetrica e mi ritrovo di fianco sopra un fondale di 50 metri. Davanti a me vedo chiaramente la secca, attorniata da un carosello di centinaia di dentici, tutti di taglia jumbo. Inutile proseguire: risalgo e, resomi conto che si sta facendo buio, decido di cedere il tuffo (raro attacco di pazza generosità) ad Antonio che è già pronto. Gli spiego rapidamente cosa deve fare, lo guido con la mano sul punto di inizio della discesa e gli dico: "Anto', va' giù a vedere che c'è il mondo!".
  Lui scende ed io mi aspetto di vederlo risalire col suo solito faccione contento ed il filo mollato, invece risale imprecando… Il mondo l'ha visto anche lui, ma essendo male appostato, ha deciso di risalire pur essendo attorniato dai pescioni. Sono sempre più sconsolato, è un peccato non aver potuto sfruttare a dovere un'occasione del genere… però, vale la pena di fare un altro tentativo, non si sa mai. Mi ventilo brevemente e parto, con il sole che sta già sull'orizzonte e l'acqua che dal blu sta passando al nero impenetrabile.

Tocco il fondo aprendomi la strada in uno strato di dentici che però sembrano tenersi a distanza, poi quando indietreggio nell'unica spaccatura ecco che un paio di pesci mi sfilano sulla sinistra, il primo arriva veloce poi si gira di scatto e, mentre tenta di allontanarsi, l'asta del mio 130 lo raggiunge sul fianco fuoriuscendo dietro la branchia: non c'è storia e 6 chili e tre di dentice finiscono nell'Igloo accompagnati dal mio sospiro di sollievo, dal 'cazzo che bello' di Paolo e dalla disperazione di Antonio che sta dando fuori di testa vedendo cosa avrebbe potuto prendere. E pensare che era uno dei più piccoli del branco che conta pesci ben oltre i dieci chili.

  Giusto il tempo per due foto, poi ancora in viaggio verso la secca più, estesa, un grande pianoro compreso tra i 15 ed i 25 dove potremo pescare agevolmente tutti e tre fino al tramonto. Ancoro sulla zona di minor profondità, dove generalmente non trovo mai un pesce, poi chiedo agli altri di seguirmi con fiducia verso le aree interessanti. Al primo tuffo mi accorgo che non c'è taglio e trovo i pesci, ma non riesco sparare perché il branco è piuttosto nervoso e scarta prima del tiro; nei tuffi successivi non li vedrò più. Qualche altro aspetto senza esito, poi mentre gli altri recuperano il gommone decido di provare un tuffo su di un sommettino isolato sperando di incocciare un altro branco; così avviene e questa volta non sbaglio facendo mio un pesce 'serio' di quattro chili e due. Appena alzo la testa vedo Paolo e Antonio che mi fanno cenno di salire, mostro loro il pesce e, con un pizzico di sadismo, mi gusto le urla di Terminator che si rammarica di non avermi seguito anche in quest'ultimo tentativo.
  Come sperato, nessuno parla più della stanchezza del viaggio e tutti e tre ci esaltiamo nel programmare l'uscita della mattina successiva. Sarà un'unica intensa pescata dall'alba fino a mezzogiorno, perché nel tardo pomeriggio ci imbarcheremo da Bastia per rientrare. Ci gustiamo la bella cena sulla splendida terrazza assieme al padrone di casa, mentre un cielo stellato e senza brezza ci annuncia un'alba di patana.
  E così sarà l'indomani, quando con le luci di via accese usciamo dal porto ancora prima delle cinque. Ci portiamo subito nelle zone più lontane verso Sud, perché se più tardi dovesse levarsi il vento (generalmente da Sud, Sud-Ovest) lo avremmo a favore nel ritorno. Siamo nuovamente a Galeria, questa volta anche gli altri conoscono già la zona e ci dividiamo i punti migliori da buoni amici. Purtroppo questa mattina di pesce ne gira assai meno, per di più assai svogliato e ci dobbiamo accontentare di qualche pesce bianco.
  Dopo aver visitato tutti i punti buoni di questo lungo tratto di costa, rimane la secca della Lupara, così battezzata da me molti anni fa quando un pescatore corso, assai nervoso, mi intimò di andarsene puntandomi un fucile a canne mozze (!!!): inutile descrivere la velocità con la quale mi sono allontanato. La secca è piuttusto lunatica, a volte pullula di dentici mentre in altre occasioni sembra un deserto, ma siamo qua e vale comunque la pena di provare: questo tipo di pesca si basa sul provare sempre e comunque almeno un tuffo nel maggior numero di posti possibile, perché dove in passato abbiamo già incontrato i pesci prima o poi li ritroveremo. Dopo aver esplorato invano il corpo centrale riscontrando certo un taglio freddo attorno ai 18-20 metri, decido di provare un aspetto sulla terrazza esterna che talvolta ospita dei dentici assai corpulenti. Generalmente al di sotto del taglio i pesci non si avvicinano, ma ci sono sempre delle eccezioni. I branchi che stazionano sullo stesso posto, a quote rilevanti, talvolta se ne fregano del termoclino. Del resto è facile intuire che il taglio è sempre relativo: l'acqua che avremo a luglio sotto di esso, magari a 18-19 gradi, sarà comunque sempre più calda di quella che sta sopra al termoclino nel mese di maggio. Quindi, se è vero che il dentice cerca ambienti più caldi per poter contare su funzioni metaboliche più rapide ed efficienti, va anche detto che se un pesce riesce ad essere scattante nell'acqua a 17 gradi di primavera non c'è motivo per cui non possa continuare a farlo anche ad agosto nelle stesse condizioni. In genere ho notato che i pesci che stazionano abitualmente molto al di sotto del termoclino ne risultano assai meno influenzati e mi capita molto spesso di effettuare catture a trenta, trentacinque metri mentre il taglio si trova a quindici o venti. Probabilmente l'acclimatazione a cui il dentice va incontro è un fenomeno estremamente soggettivo e dipende dalla temperatura in cui il pesce passa la maggior parte del tempo; se, per ragioni morfologiche del fondale, un branco di pesci staziona ad una quota abitualmente immersa nel taglio freddo i suoi componenti saranno presumibilmente acclimatati a tali temperature e sarà possibile pescarli senza particolari problemi, salvo qualche brividino sulla schiena.

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  Tocco il fondo sui 25 metri e subito li avvisto ad una ventina di metri di distanza: sembrano curare l'aspetto, così mi dispongo con la corrente alle spalle e abbasso il profilo e loro accelerano l'avvicinamento. Non appena il primo è a tiro scocco la freccia che manca miseramente il bersaglio, un pesce di cinque chili abbondanti. Cosa diavolo mi sta succedendo? In tre giorni ho collezionato le padelle di un'intera annata, incredibile anche perché ho già controllato e ricontrollato l'arma senza riscontrare difetti di sorta. Del resto si tratta del fucile con il quale ho pescato da maggio ad ora con ottimi risultati, quindi perché adesso dovrebbe essere diventato un disastro?
  Comunque, dopo aver debitamente imprecato, mi viene un'idea: chiedo a Paolo, in quel momento sul gommone, di passarmi dalla sacca lo Stealth 110 che appena prima di partire avevo ritirato da Tecnomare debitamente elaborato e che mi ero riproposto di collaudare in questa vacanza. Penso che la gittata superiore dell'oleo potrebbe permettermi un secondo tiro anche se i pesci decidessero di mantenere una certa distanza. Ma poi, si sa, c'è sempre il timore di lasciare la strada vecchia per una nuova e così, al pensiero di dover caricare un arnese a 42 atmosfere, sistemare sei metri di sagola e dovermi inventare su due piedi un sistema per mirare con un'arma con la quale non ho mai sparato, decido di impugnare ancora il mio fido 130. Mi rilasso preparando il tuffo e ripetendo a me stesso che non posso permettermi di sprecare un'altra occasione qualora il branco decidesse di offrirmela. Eccomi di nuovo sul fondo, con movimenti dosati e nel punto esatto dove volevo appostarni a circa 29 metri di profondità. I pesci mi vedono e si spostano esattamente secondo quando da me previsto (o sperato…) finchè, dopo un aspetto da record, mi sfilano davanti, ancora più vicini del tuffo precedente. Di colpo sono preso dall'angoscia, dal terrore di sbagliare ancora, non potrei sopportarlo. Rieseguo l'allineamento, irrigidisco il polso, attendo ancora per avere il pesce più vicino ed eseguo un tiro a prova di errore… eppure 'zzzac', l'asta fora il pesce sulla schiena e lui, al primo scatto, si libera lasciandomi nello sconforto più profondo! Non so più cosa pensare, perché io sparo d'istinto confidando nell'arma e adesso tutto potrebbe anche dipendere dalla mia insicurezza, non mi sono mai sentito così frustrato.
  E' ora di andare, non possiamo rischiare di perdere il traghetto perché tutti e tre avremo un martedì lavorativo di fuoco! Però, prima di riporre tutto, decido di provare un paio di tiri con il cannone nuovo, tanto così per capire come mi potrei trovare. Sono molti anni che non impugno un olepneumatico , ma il calcio che mi sono sagomato sulla mano rende tutto più facile. Carico l'arma con una facilità che mi sorprende, abituato com'ero al vecchio Sten 130 che con la stessa pressione mi faceva sudare sette camicie, rifaccio le tre passate di sagola e provo il brandeggio: incredibile, l'arma e perfettamente neutra e si brandeggia meglio di un arba da 75. "…certo che se avesse anche la precisione di un fucile ad elastici…" penso mentre mi porto su di una secchetta in quindici metri dove vive costantemente un branco di piccoli dentici, tutti sotto il chilo, che spesso uso come valvola di sfogo per i miei accompagnatori repressi dopo ore di assistenza di superficie. Questa volta saranno le mie cavie, niente di meglio che un pesce di pochi etti con nuoto rettilineo per provare la precisione e la gittata di un'arma.
  Il gommone è all'ancora, Paolo ed Antonio sono in superficie con il compito di analizzare la traiettoria e la velocità di sparo dall'alto. Mi fermo, aspetto i pesciotti, ne scelgo uno e traguardo nella maniera più istintiva che posso. E' ad una distanza alla quale non mi sognerei neanche di provare con l'arba più lungo che ho ma non è la preda che mi interessa… Quando premo il grilletto ho la prima sorpresa: manca il rilevamento (l'innalzamento della testata) ed avverto soltanto un lieve e graduale rinculo lungo l'asse longitudinale dell'arma. Vedo il pesce che si dibatte, ma non oso pensare di averlo colpito a più di quattro metri dalla punta… ed invece è nel monofilo, centrato esattamente nel ganascino!
  La velocità e la gittata sono incredibili: l'asta, dopo aver perforato il pescetto e stirato cinque metri e settanta di monofilo, ha strappato più di un metro di spectra dal mulinello semibloccato e si è spuntata contro una roccia ad oltre otto metri dalla testata dell'arma. Antonio e Paolo sono sbigottiti, mi guardano con gli occhi fuori dalle orbite e mi dicono di non aver mai visto niente del genere. La potenza e la velocità sono devastanti, non c'è dubbio, ma per la precisione si deve essere trattato di un caso, non ho dubbi! In ogni caso facciamo la riprova. Riarmo, mi tuffo e mi poso ancora sullo stesso punto per avere un riferimento costante. Sparo ad un pesce di taglia simile ma ancor più lontano del precedente ottenendo lo stesso risultato: un foro a centro corpo e l'asta che se ne va come un treno per altri tre metri. Incredibile, difficile pensare ad una coincidenza…
  E' ora di andare, ma tra le tante delusioni nel bagaglio di ritorno ci sono anche tanti souvenir positivi: prima la consapevolezza di aver passato cinque giorni in posti bellissimi in compagnia di due ragazzi straordinari, poi la conferma che la mia conoscenza di queste zone di pesca è profonda e scientifica e dà sempre buoni frutti, infine il poter constatare che la perseveranza paga: troppo spesso lasciamo trascorrere un'intera settimana di pesca infruttuosa lamentandoci della mancanza di prede senza minimamente pensare alla possibilità di traslocare in altre zone, dove magari potremmo realizzare carnieri da sogno. Io ho impostato tutta la mia strategia di pesca al dentice sul mordi e fuggi, sul prelievo selettivo con un tuffo qua ed un tuffo là anziché battere a tappeto un'unica zona che, anche se pescosissima, non potra mai ospitare più di uno o due branchi: durante una normale giornata di pesca nell'Arcipelago Toscano percorro in gommone non meno di 80-100 di miglia, eseguendo tuffi in almeno una ventina di zone diverse. Non è facile convincere chi è abituato ad uno, due spostamenti al massimo a seguirmi, ma chi ci prova si rende conto dell'efficacia del metodo e se non lo adotta è soltanto perché non è facile reggere tante ore di navigazione alternate a tuffi di grande impegno fisico.
  Ultima, ma non in ordine d'importanza, nota positiva l'inaspettata scoperta di un'arma nuova dalle potenzialità incredibili. Adesso non vedo l'ora che arrivi sabato, quando avrò nuovamente l'occasione di provare il cannone, questa volta spero su pesci veri. Mentre aspetto il traghetto telefono a Massimo Fantino, savonese esperto di fucili ad aria che mi ha convinto a fare la prova certo che ne sarei rimasto folgorato.

  Nel prossimo diario di pesca farò un dettagliato resoconto di alcune pescate con questa nuova arma, descrivendone pregi e difetti.

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