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DENTICI E METEOROPATIA - primavera 2002

   E così anche il lungo inverno se n’è andato e, come ogni anno, mi ritrovo a fare i conti con una forma non proprio ottimale. Per risvegliare muscoli e istinti a lungo sopiti niente di meglio di un tour de force e così nasce l’idea di una settimana a Cadaquez, in Costa Brava.
   Qua ho pescato molte volte ma sempre in inverno: branzini, saraghi, orate all’agguato nella risacca o nell’acqua verdastra, una pesca che non mi esalta ma che, anni addietro, mi aiutava ad alleviare la lunga attesa della bella stagione.
   I frequenti avvistamenti (e catture) di dentici anche nei mesi freddi e in condizioni decisamente non ideali mi hanno fatto maturare la convinzione che questo tratto di costa possa essere interessante anche per la pesca da me preferita; questo nonostante la scarsa limpidezza delle acque che, anche nella stagione estiva, dubito possano raggiungere quella limpidezza che rende l’aspetto profondo così affascinante.
   Comunque un tentativo val bene la pena di farlo, visto che nei miei posti abituali la fine di aprile non è particolarmente prodiga di emozioni, mentre qua, anche in assenza di incontri di rilievo, si può sempre ripiegare sull’onnipresente pesce bianco.
   La combriccola si presenta ben assortita: quattro sub (a coprire l’intera gamma delle tecniche, dal profondista al mitico “Patella”) più un accanito pescatore di superficie.
   Una carovana di due macchine e due gommoni da cinque metri con 70 CV, maneggevoli ma abbastanza performanti da poter fronteggiare le condizioni di mare più avverse, dopo mille chilometri arriva a Cadaquez a mezzogiorno del 25 aprile.
   Disfatti i bagagli, un paio d’ore di riposo, e alle sei stiamo già in acqua: sole estivo, 25 gradi, mare calmo e acqua abbastanza limpida. Ci mettiamo pochi minuti per accorgerci che il mare si sta svegliando: folti branchi di mangianza a tutte le quote e in prossimità di ogni punta o risalita alimentano la nostra tensione e le nostre speranze. Catturo subito un paio di saraghi nel bassofondo, poi più in giù al terzo tuffo mi sfila una leccia di una ventina di Kg che purtroppo mi ignora miseramente ma si mostra quanto basta per risvegliare in me la voglia del pescione.
   Mentre gli altri continuano ad agguatare saraghi e branzini io ho già la testa alla prossima meta, una risalita poco distante dove conto di incontrare loro, i miei amati dentici.
   Ormeggio a ridosso, carico l’arbalete extra long e mi sposto a pinne seguendo le mire approssimative memorizzate lo scorso anno. Il sommo sta sui sedici-diciassette ma la visibilità non supera i dieci metri e mi priva dell’apporto visivo, costringendomi ad un meticoloso esame della corrente e dei movimenti della mangianza per scegliere il punto ottimale in cui portare l’aspetto. Specialmente con i primi branchi ad inizio stagione è essenziale azzeccare l’appostamento al primo tentativo, perché difficilmente ci verrà data una seconda possibilità, come invece più sovente accade in estate.
   Mentre mi preparo al tuffo, il nervoso ribollire delle menole e delle castagnole sotto le mie pinne mi convince sempre di più della presenza dei dentici e la sensazione, come sempre più spesso accade, si rivela esatta.
   Tocco il fondo esattamente dove volevo cadere, ventidue metri alla base della prima guglia su di un fondale pianeggiante di macciotto e qualche raro masso, ideale per l’aspetto al dentice. Li vedo quasi subito, sono una quindicina e tutti grossi: mi puntano decisi mentre le ali di mangianza si aprono come una folla omaggiante anticipa l’incedere del corteo regale e in pochi secondi sono a tiro. Miro il primo a due metri dalla punta, un pesce di almeno cinque chili che piega leggermente il testone verso la mia destra, quasi volesse offrire un maggior bersaglio e premo il grilletto con presuntuosa sicurezza. A distanza di una settimana non riesco ancora a capacitarmi di come sia stato possibile sbagliare un tiro tanto facile, eppure il dentice sta ancora là che ride alle mie spalle e brinda allo scampato pericolo.

   Nei giorni sucessivi ho provato e riprovato l’arma, trafiggendo castagnole ad oltre tre metri e sono arrivato alla conclusione che l’errore sia imputabile ad una mira approssimata o, più verosimilmente, al mancato irrigidimento del polso.
   Sfumata l’occasione di aprire le ostilità con un pesce di tutto rispetto, mi consolo pensando che ho un’intera settimana per prendermi la rivincita.
   E invece mi sbagliavo: nonostante le previsioni a lunga scadenza fossero più che buone, la mattina successiva il tempo sembra guastarsi. Il cielo si riempie di nubi, la temperatura si abbassa di oltre cinque gradi ed un vento freddo dal primo quadrante alza un’onda fastidiosa. Provo subito sul branco di dentici della sera precedente ma, come immaginavo, ne avvisto soltanto un paio nervosissimi. Per fortuna in mezzo ai due pesci si fa strada una bella spigola che, a differenza degli sparidi, sembra estremamente interessata a fare la mia conoscenza. Almeno questa per fortuna non la sbaglio, ma un dentice sarebbe satto molto più gradito.
   Grazie alla lughezza delle giornate, di comune accordo optiamo per la soluzione delle due pescate al giorno, le prime quattro e le ultime tre ore di luce e ad ogni uscita in base alle preferenze personali formiamo due equipaggi indipendenti.
   Nei quattro giorni successivi il tempo rimarrà costantemente disturbato e, nonostante i ripetuti tentativi nello stesso e in altri posti abitualmente frequentati, non rivedrò più un solo dentice tanto che, anch’io profondista incallito, dovrò ripiegare sull’agguato al pesce bianco. Trascorre così l’intera vacanza con carnieri onorevoli ma senza nessuna cattura di rilievo.
   Il mattino del martedì ci accoglie finalmente con il sole ed il mare d’olio, una situazione più simile a quella del primo giorno, anche se la temperatura è nettamente più bassa. Usciamo per l’ultima pescata, avendo programmato la partenza per il primo pomeriggio e già all’uscita dal golfo di Cadaquez avverto il mio solito prurito da dentice…
   Nonostante la zona sia abbastanza vasta, al primo tuffo individuo subito il branco: ormai è una regola, ma non si tratta di fortuna bensì del frutto di anni ed anni di attento studio dei tanti fattori e degli indizi rivelatori.
   Purtroppo il punto in cui sono caduto è troppo elevato rispetto alla quota in cui stazionano i pesci e decido di risalire per non disturbare inutilmente il branco. Mi sposto più in fuori e, dopo un’accurata preparazione, porto un secondo aspetto, questa volta un paio di metri più in basso rispetto al pianoro dove i dentici stanno ancora sostando. Anche se con una certa diffidenza i pesci decidono di avvicinarsi. Mi ci vuole un tuffo da due minuti: non poco a inizio stagione, a queste quote, con la muta da sette e con otto Kg di zavorra… ma si sa, il carattere a volte può più della condizione fisica e il pesce finisce in sagola. Tre chili e due per il primo dentice del 2002, non male anche se rimpiango ancora il pescione del primo giorno.
   Deposte le armi facciamo i bagagli e ci avviamo verso casa per evitare le code previste per il giorno successivo, primo maggio, scambiandoci analisi e considerazioni sull’intera vacanza.
   Salta subito all’occhio la stretta connessione tra condizioni meteorologiche e presenza del dentice. Ancora una volta ho avuto piena conferma della validità della mia teoria sulla meteoropatia di questo sparide che indiscutibilmente predilige le situazioni di alta pressione, stabilità, cielo sereno e mare calmo. E questo si nota ancor più facilmente in primavera quando, a seconda delle condizioni meteorologiche, una giornata può trasformarsi da un prolungamento dell’inverno ad un anticipo dell’estate. Ad aprile bastano un paio di giorni di sole e temperature miti per far sì che i branchi di dentici si accostino favorendo le prime catture; poi, non appena le nuvole tornano, i pesci spariscono per tornare soltanto quando il bel tempo si sarà ristabilito.
   Ovviamente con l’avanzare della stagione le presenze si fanno sempre più frequenti fino alla definitivca colonizzazione del sottocosta; a questo punto anche le eventuali perturbazioni meteorologiche sortiranno effetti meno evidenti e i pesci li incontreremo con maggior regolarità, ma l’arrivo del cattivo tempo continuerà a coincidere con una diminuzione dell’efficacia dei nostri aspetti.
   Il mare mosso, che spesso porta sottocosta saraghi, orate e spigole, non favorisce mai la presenza di dentici e li rende sempre nervosi e oltremodo diffidenti.
   Quindi occhio al barometro, ai bollettini VHF ed alle previsioni internet per cercare di prevedere e sfruttare al meglio le giornate di bel tempo che la primavera ci concede per realizzare validi carnieri lontano dalla ressa dei mesi estivi.
   Un’ultima nota riguarda la sperimentazione della nuova doppia aletta a scomparsa Seatec. Il buon Valerio mi aveva dato una serie completa di aste da provare, nelle varianti da sei a sei e mezzo sia inox che zincate. Niente da eccepire, sono dei veri e propri capolavori! Le due alette spariscono quasi del tutto ed il profilo dell’asta risulta molto meno ingombrante della miglior monoaletta presente in commercio. Il guadagno in precisione e capacità di penetrazione è incredibile e me ne accorgo fin dai primi tiri.
   Inoltre le alette sono decisamente resistenti e non si piegano (come invece accade con le Devoto) garantendo una buona tenuta anche su pesci di mole: finalmente non dovrò più passare le ore a montare, limare e rifinire le alette come ho fatto negli anni passati.
   Prevedo di optare per la versione in acciaio armonico zincato perché, oltre ad essere più resistente, offre una perfetta linearità anche nelle misure più lunghe, mentre l’acciao inox sembra risentire delle varie lavorazioni e tempre e spesso si svirgola sulla fresatura in prossimità del codolo. La ruggine non sarà un problema, perché nelle mie mani è poco verosimile che un’asta possa sopravvivere tanto a lungo da perdere la zincatura …

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