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CADAQUEZ:
il parco perfetto


A t t u a l i t à  e   R i f l e s s i o n i


LA PESCA OGGI:
SCIENZA, EMPIRISMO, TEORIE E METODI

 

La storia della subacquea è relativamente breve, basta pensare che fino agli anni 50 le immersioni erano riservate a scopi militari o scientifici e le attrezzature allora usate ci farebbero sorridere… Chi scendeva con quella rudimentale tecnologia veniva spesso e giustamente visto come un ardito o addirittura un incosciente e si scommetteva sulla possibilità che avesse di riguadagnare la superficie. Poi ci furono alcuno ‘pazzi’ che decisero di dedicarsi alla subacquea per puro piacere, generalmente con finalità venatorie. Erano i nostri antenati, quelli che ci hanno aperto la strada verso un mondo tanto bello. Io non ero ancora nato, ma ne ho sentito parlare ed ho letto di loro: il mio primo libro di pesca è stato ‘Uomini e Pesci’ del compianto Gianni Roghi, un testo che se avrete la fortuna di trovare e consultare vi farà capire quanto fossero lontani da noi quegli uomini e quegli anni…
Chi pescava allora trovava davanti a sè un mondo incontaminato e prede a volontà anche nei primi metri ma doveva sfidare le credenze popolari, la paura atavica dell’ignoto, le carenze delle attrezzature: maschere che sembravano acquari, pinne di gomma, mute che costavano un occhio della testa e proteggevano sì e no dai primi freddi autunnali…
Erano gli anni dei Marcante, dei Ripa, dei Marò, uomini che hanno dedicato la loro intera vita al mare… poi il mercato si è attivato, l’opinione pubblica ha vinto parte della diffidenza e la subacquea si è allargata fino a coinvolgere anche persone considerate ‘normali’ che si immergevano nel tempo libero o durante le vacanze. Il resto è storia recente da tutti conosciuta ed ha portato decine di migliaia di persone a frequentare le nostre belle acque con vari gradi di esperienza e finalità.
Fin dall’inizio sono emerse delle chiare esigenze: da parte di coloro che già si immergevano si trattava capire il perché di quello che facevano ed il modo migliore per spiegarlo agli altri, mentre per gli aspiranti subacquei era basilare il reperimento di fonti attendibili (testi, filmati, istruttori) in grado di iniziarli alla disciplina riducendo le percentuali di rischio. La didattica subacquea è passata attraverso varie fasi fino a diventare una vera e propria scienza ma, nel fare questo, ha inevitabilmente imboccato la direzione dell’immersione assistita relegando in un cassetto l’apnea. Ovvie questioni di marketing, visto che la quasi totalità di chi si immerge oggi lo fa con una riserva d’aria sulle spalle e necessita di attrezzature costose: peccato che a farne le spese sia stata quella che è sicuramente la più completa e formativa tra le discipline sportive!
Per molti anni l’apnea, povera Cenerentola del mare, ha vissuto è si è divulgata soltanto grazie ai vari passaparola ed alle rare immagini televisive dei tentativi di record di Maiorca e Mayol. Negli anni settanta l’uomo era già stato sulla Luna ma gli scienziati sostenevano che a -100 il torace sarebbe imploso, salvo poi essere smentiti dal primatista di turno. Umberto Pelizzari, oltre ad essere un grande atleta ed una persona colta ed affabile, ha avuto l’indiscusso pregio di affrontare l’apnea con spirito nuovo. Grazie alle sue prestazioni ed al suo carisma ha coinvolto l’opinione pubblica a tal punto da giustificare l’interessamento del mondo medico-scientifico. Grazie all’apporto delle migliori tecnologie e conoscenze siamo finalmente riusciti a comprendere e poi spiegare parte dei complessi fenomeni che regolano l’uomo in immersione libera. Oggi il free diving, come lo chiamano gli anglosassoni, è disciplina in continua espansione e le scuole dedicate, discendenti di Apnea Academy, fioriscono in tutto il mondo.
Abbiamo visto quindi come l’immersione con l’autorespiratore abbia trovato una sua felice collocazione ovunque esista uno specchio d’acqua, come l’anpea pura sia in costante diffusione, ma la pesca subacquea che fine ha fatto? Ahinoi, le dure leggi di mercato e la pressione crescente dei falsi ecologisti ci hanno condannato ad un confino che somiglia sempre più a quello malinconico degli Indiani d’America. Prima esistevano le poche riserve naturali dove l’ambiente era ermeticamente protetto, oggi il mare è un unico immenso parco marino gestito in maniera scandalosa, dove ognuno può fare ciò che vuole ad eccezione di noi pescasub. Si va sempre più verso la situazione in cui esisteranno poche limitate aree (presumibilmente i posti più sfigati) dove sarà consentita la pesca col fucile, riserve di caccia in cui una decina di noi si scanneranno per arrivare prima sui pochi pesci disponibili!
Questa situazione di isolamento e di abbandono ha fatto sì che la pesca subacquea si sviluppasse in maniera ‘ruspante’ grazie alla passione dei pochi praticanti che di generazione in generazione hanno allevato i nuovi adepti trasmettendo loro le proprie esperienze e teorie. Una cultura quindi incontrollata, empirica e soggettiva: basta assistere ad una discussione tra alcuni subacquei di provata capacità per rendersi conto di come ognuno di essi abbia una propria personale opinione riguardo a questo o quel pesce, questa o quella tecnica. La realtà dei risultati ci dimostra che spesso nessuno ha torto o ragione visto che i pescatori di cui sopra in acqua realizzano carnieri equivalenti. Per poter parlare di teorie scientificamente provate sono necessari due presupposti: il primo è che la teoria non può prescindere dalle attuali conoscenze biologiche della specie in oggetto (che sono di difficile reperimento ed interpretazione), il secondo che quanto enunciato sia verificato sul campo da diversi collaudatori nelle diverse variabili ambientali ammesse ed in un esteso arco di tempo. Facile comprendere come questo processo che richiede un ingente impiego di risorse umane e finanziarie sia fuori della portata di qualsiasi subacqueo per cui, a meno di un qualche improbabile interessamento della comunità scientifica, rimarrà un puro miraggio.
Quarant’anni di storia della pesca subacquea ci hanno consegnato una limitata quantità di materiale didattico, per lo più scritti e, negli ultimi anni, anche documenti multimediali. Le variabili sono state parecchie: c’era chi pescava da Dio ma non sapeva scrivere, chi si esprimeva bene ma non aveva grandi contenuti da illustrare, e qualche raro caso in cui si notava un buon equilibrio tra le due componenti.
L’errore spesso commesso in passato era quello di voler obbligatoriamente fornire un perché chiaro ed inequivocabile di un certo comportamento riscontrato, pretendendo di invadere il campo della scienza senza possedere le capacità e le conoscenze specifiche per farlo.
Ultimamente alcuni hanno addirittura fatto di peggio: partendo da un enunciato teorico, frutto di una sia pur lodevole documentazione scientifica, hanno preteso di codificare e prevedere il comportamento dei pinnuti con conclusioni che spesso vanno in direzione opposta di quanto in decenni riscontrato da subacquei indiscussa esperienza.
Il principale motivo di questo grave errore sta generalmente nell’essersi limitati a verificare sul campo unicamente in base alla propria personale esperienza, evitando il confronto con il resto del mondo della subacquea, vuoi per mancanza di contatti vuoi per imperdonabile presunzione.
Rivisitando ed analizzando con attenzione quello che in quasi trent’anni di amore per la pesca ho letto, visto, ascoltato mi sento di poter affermare che ad oggi non esiste una sola teoria che possa essere definita scientifica, ma numerose interessanti teorie interpretative, peraltro di valido aiuto a chi desidera migliorare le proprie capacità venatorie.
Perché è un dato di fatto che esiste una sostanziale differenza tra l’illustrare un fenomeno misurandone parametri e regole principali e l’interpretare il fenomeno stesso dando una spiegazione certa del perché esso avviene.
La maggior parte delle grandi scoperte ha preso spunto dalla necessità di spiegare il perché di un fenomeno che era misurato e codificato magari da secoli o millenni, come lo scorrere del tempo e l’incalzare del giorno e della notte o delle stagioni: l’uomo sapeva benissimo che alle sei avrebbe fatto giorno molto prima che Copernico formulasse la teoria geocentrica, ma la nuova corretta interpretazione del fenomeno ha aperto la strada ad una serie di ragionamenti e deduzioni che hanno segnato lo sviluppo della nostra civiltà.
In questo senso è giusto che continuiamo a domandarci il perché delle cose che ci accadono intorno, ma dobbiamo anche dimostrare il giusto rispetto per le osservazioni che intere generazioni ci hanno lasciato. Non c’è niente di più sbagliato del voler demolire una ‘regola’ che ha attraversato i decenni soltanto perché non troviamo nella scienza da noi conosciuta una spiegazione dettagliata (ma neanche una che sostenga il contrario!). Da quando pesco dentici ho potuto verificare come la corrente sia in grado di influenzare in maniera determinante il loro comportamento e su questo ho trovato conforto nei più grandi specialisti viventi (Mazzarri, Toschi, Scarpati, Molteni, Bellani, Bardi…). Eppure mi sono trovato a discutere con illustri personaggi che hanno definito queste teorie ‘credenze popolari’ perché le loro conoscenze di biologia (molto superiori alle mie) non hanno evidenziato alcun elemento che possa far presumere tale influenza. Io, molto più modestamente, non ho mai avuto la pretesa di sezionare un dentice per trovare i ‘correntocettori’ ma dopo aver pescato per quindici anni a Portofino posso dire con quasi assoluta certezza che con la corrente da Ponente i dentici non ci stanno o sono inavvicinabili. Non sono un dentice e non vi posso dire perché, ma so che è così e come me lo sanno anche i vari Toschi, Agostini e tanti altri che prima dell’avvento del ‘parco privato’ (ne parleremo in altra occasione) coglievano in queste acque ricchi carnieri.
Quando ho aperto questo sito avevo in mente di dividere con altri amici la passione per il mare in generale e per un certo tipo di pesca in particolare. Inizialmente mi ero prefisso di effettuare aggiornamenti frequenti e regolari, poi il tempo ed il lavoro mi hanno costretto a ripiegare sui rari momenti di pausa, come la vacanze natalizie (quelle estive sono dedicate ai pesci, scusatemi tanto…), per buttare giù qualcosa di accettabile. Ed ogni volta sono combattuto tra il parlare dei tanti e gravi problemi che affliggono il mare e la nostra attività ed il provare a mettere nero su bianco delle utili indicazioni destinate a chi vuole praticare il mio tipo di pesca. So che la maggior parte di quelli che frequentano il mio sito si aspettano sistemi magici per acchiappare i dentici più corpulenti e sfuggenti, ma sono anche cosciente che esiste il rischio concreto di cadere nel ripetitivo, nello scontato come avviene per i tanti articoli su questo o quel pesce che periodicamente appaiono sulle riviste di settore. Cambia la firma, cambiano le foto (a volte neanche quelle) ma alla fine in due o tre paginette striminzite si condensano le stesse identiche cose, né troppo vaghe né troppo dettagliate ma quasi sempre di scarsa utilità per migliorare i nostri carnieri.
Io ho voluto costruire un intero sito dedicato ad un solo tipo di pesca, dividendolo in numerosi capitoli proprio per sviscerare a fondo i vari aspetti , ma questo richiede tempo, pazienza e soprattutto deve essere sempre valutato come un semplice punto di vista, un’interpretazione personale fatta da chi a questo ha dedicato venticinque anni, quindi molto credibile ma non per questo assoluta.
Mi ritengo un buon pescatore ma soprattutto un attento osservatore, fatto che mi ha permesso di trarre negli anni una serie di conclusioni che reputo piuttosto attendibili. Ho pescato dentici nella maggior parte delle situazioni possibili, in ogni stagione, con ogni visibilità, con mare calmo o con onde gigantesche, in posti praticamente vergini e sugli antemurali dei porti. Ho speso ore parlando di questa pesca con tutti quelli con cui sono potuto venire in contatto, con famosi fuoriclasse e con emeriti sconosciuti, cercando di memorizzare gli spunti positivi per integrare quanto da me riscontrato. In questo modo ho avuto la possibilità di dare maggior validità a molte delle mie conclusioni, proprio perché trovavano riscontro nella maggior parte dei colleghi, oppure di concentrarmi sulle altre per capire se si trattava di semplici coincidenze o se il mio spirito di osservazione era superiore alla media.
Tutto questo per introdurre quello che per me è l’unico corretto e razionale approccio alla pesca subacquea, ossia quello statistico. Alcuni visitatori del mio sito mi hanno per l’appunto rimproverato la mancanza di supporto scientifico a quanto da me sostenuto, trascurando il non irrilevante fatto che la statistica è una scienza riconosciuta e codificata.
Che il dentice venga all’aspetto è un dato di fatto che prescinde dalla conoscenza o meno dell’esistenza dell’istinto territoriale. I motivi per cui un branco sia più o meno avvicinabile sono spesso incomprensibili, ma chi pesca da anni sa intuire con buona certezza quali saranno le giornate migliori ancor prima di entrare in acqua.
Ho discusso con chi sostiene che non è possibile determinare a priori il versante della secca dove troveremo i dentici. Io da oltre dieci anni lo faccio, basandomi sulla corrente, con una percentuale di successo del 90%. Poiché un tale riscontro va ben al di là di ogni ragionevole casualità, mi sento autorizzato a formulare una teoria in cui la corrente determina lo spostamento dei pesci da un versante all’altro: il metodo utilizzato è statistico, in un certo qual modo rigorosamente scientifico ma comunque attendibile fino a prova contraria (che l’interlocutore non è stato in grado di presentare).
Non molti sanno che dal lontano 1981 tengo un dettagliato registro delle mie uscite in mare sul quale annoto le condizioni meteomarine, le prede catturate e le condizioni di ogni cattura. Da dieci anni questo diario si limita ai dentici ma le annotazioni sono ancora estremamente dettagliate e l’ausilio del computer ha facilitato le operazioni di raffronto e di estrapolazione dati: l’uso di fogli elettronici personalizzati mi permette di ottenere ad esempio la profondità media per verificare il progressivo affondarsi dei pesci con l’avanzare della stagione, oppure determinare la percentuale di catture in un determinato range di quote…
I dati così ottenuti possono essere letti in maniera fine a sé stessa, senza doverli necessariamente impiegare per supportare fantasiose teorie bioetologiche, per codificare una determinata reazione ed utilizzarla ai fini venatori. Si tratta di rimanere coi piedi per terra e ricordarci il motivo per cui entriamo in acqua: la cattura della preda. Se ci mettessero a scelta tra conoscere perfettamente l’anatomia del pesce e saper capire da quale parte della secca troveremo i pesci pur non sapendone il motivo, sono certo che le nostre preferenze coinciderebbero. Ovviamente, laddove ci è dato di conoscere le vere ragioni non c’è motivo per cui una persona matura e razionale dovrebbe rifiutare di apprenderle, ma soltanto nella misura in cui questo non diventa lo scopo primario.
In un epoca in cui si fa sempre più strada la specializzazione non ha molto senso perdersi in discussioni spesso al di là della nostra portata e, soprattutto, di nessuna utilità per la nostra crescita come pescatori. La mia scelta in questo senso è stata chiara e netta: mi attengo ai fatti concreti e dò alle rilevazioni statistiche, se correttamente eseguite, il valore che compete loro a sostegno delle mie teorie di pesca.
A chi è interessato alla biologia marina consiglio di procurarsi un testo serio tra i tanti reperibili in biblioteca ed offro la mia piena disponibilità a confrontarmi nel caso riuscisse a fornire una spiegazione scientifica ai vari comportamenti da me riscontrati e codificati. Per tutti gli altri che invece desiderano conoscere in quale modo gestisco una pesca difficile ma gratificante rinnovo l’invito a leggermi con pazienza, tenendo sempre in considerazione che, nonostante io stesso non possa garantire la certezza assoluta delle mie convinzioni, evito di affermare qualcosa se non ho basi concrete per farlo.
E’ proprio con l’ottica sopra descritta che vi invito a valutare in particolar modo il prossimo scritto, frutto di alcuni attenti e probanti rilevamenti della scorsa estate.